Comportamento Alimentare: cosa c'è dietro le quinte di Anoressia, Bulimia e Obesità.

A colloquio con la Dott.ssa Margherita Iavarone, psicologa psicoterapeuta, esperta in dipendenze.

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In Italia i problemi del comportamento alimentare riguardano il 35% della popolazione adulta e il 25% dei bambini. Come si può spiegare questo fenomeno?

Il cibo non è solo una fonte di calorie e di elementi indispensabili alla funzionalità dell'organismo. Serve pure a soddisfare le esigenze più disparate, spesso contraddittorie, come sostitutivo di un desiderio insaziabile d'amore o espressione di rabbia e di odio, può sostituire il piacere sessuale o indicarne il diniego, può rappresentare la fantasia di possedere l'organo maschile o quella della maternità, può offrire un senso di potere infinito o può esprimere un rifiuto delle responsabilità adulte. Può inoltre servire a riempire un vuoto affettivo, a placare l'angoscia prima che diventi panico, un voler tapparsi la bocca per proibirsi di dire cose troppo sconvolgenti, o persino un rifiuto dell'identità femminile. Se ne deduce che il cibo ha vari significati: quello regressivo, come consolazione in personalità infantili, quello aggressivo (sfogo della rabbia), quello difensivo (come protezione), quello consolatorio (cibo come riempitivo del vuoto esistenziale) quello reattivo (in seguito a forti stress), quello psicosomatico (confusione tra emozioni e sensazioni), quello liberatorio (come spazio in un mondo pieno di obblighi e conformismo).  

Quali sono i profili di personalità di soggetti con disturbi del comportamento alimentare?

Diverse sono le tipologie di personalità, e molteplici le motivazioni di base. Sono talvolta individui molto attivi, impegnati con successo in attività lavorative che forse cercano nel cibo una compensazione a bisogni emotivi non soddisfatti; molto più numerose sono le obesità passive: sono persone amabili, compiacenti, influenzabili che antepongono i bisogni degli altri ai propri nel costante timore di non essere amati, accettati. Quando fin da piccoli non si è abituati a riconoscere, esprimere, difendere il proprio modo di essere ed i propri bisogni, e anzi si è costretti a reprimerli, non si acquisisce fiducia in se stessi e nelle proprie possibilità. Di qui la perenne sensazione di trovarsi di fronte a problemi di gran lunga superiori alle proprie possibilità di soluzione, il senso di impotenza, la rinuncia aprioristica. Il confronto con le avversità della vita è cioè per loro molto duro per cui l'abbuffata ha un potere rassicurante, regressivo. Talvolta l'obesità insorge dopo la gravidanza e può denunciare una delusione nella vita di coppia o un rifiuto di crescere. Si tratta di madri molto ansiose che prodigano al bimbo eccessive cure, le stesse che avrebbero voluto ricevere. E non può sorprendere se i loro saranno bambini grassi. Ci sono anche uomini che ingrassano dopo la nascita del figlio: si tratta di individui estremamente dipendenti con un bisogno perennemente insoddisfatto di attenzioni, cure, riconoscimenti. In questi casi la presenza del bambino suscita in loro rabbia e gelosia per cui ricorrono agli eccessi alimentari per risarcirsi di ciò che sentono di aver perduto. Le donne comunque ne soffrono di più.

Quali sono le cause?

Le cause vanno ricercate nella difficoltà delle relazioni interpersonali e nel cattivo sviluppo dell'intimità corporea, affettiva e sessuale per cui queste persone non riescono a trovare la giusta distanza con i rapporti con se stessi , con il proprio corpo, con gli altri. Tra le caratteristiche ricorrenti vi è spesso incapacità a controllare le proprie pulsioni, rapporti non risolti con i propri genitori, difficoltà nell'accettazione della propria emotività e dei propri limiti. E come in tutte le forme di dipendenza, c’è pure una buona dose di autolesionismo. In ogni caso l'obesità denuncia un copione di "perdente" "sfortunato", sostenuto da sentimenti di colpa, inferiorità, autodenigrazione. E si potrebbe ipotizzare che in qualche modo gli obesi si riconoscano nella loro debordante figura corporea che nella sua accezione socialmente riprovevole, stigmatizza l'autosvalutazione.

Gli obesi sono consapevoli di questi significati?

Assolutamente no. Anzi negano problematiche legate alla propria personalità e attribuiscono i loro eccessi alimentari ad un'incontrollabile ingordigia, a mancanza di volontà, a debolezza di carattere. In realtà le modalità di nutrizione vengono acquisite nella primissima infanzia, in relazione all'interazione del bimbo con la figura di riferimento. Può darsi che la madre gli abbia dato cibo anche quando aveva bisogno di stimoli o di coccole, oppure che gliene abbia dato troppo per dimostrare di essere una brava madre, per superare sentimenti di ansia o di colpa, oppure che non gliene abbia dato a sufficienza innestando il meccanismo dell'abbuffata con un significato di "ora o mai più". Il pensiero coatto di qualcosa da ingurgitare ha molto spesso la funzione di un tappo, una barriera difensiva contro la presa di coscienza di non essere stata amata incondizionatamente. Può accadere infatti che talvolta il bambino recepisca sin dalla primissima infanzia che può ricevere amore solo a condizione che soddisfi certe aspettative del padre e/o della madre. Si tratta in questi casi di genitori freddi, rigidi, molto esigenti che non assecondano il bambino nelle sue inclinazioni naturali, bensì cercano in ogni modo di forgiarlo a somiglianza di un loro modello ideale, a scapito della sua autenticità, di ciò che di più vero e prezioso c'è in ogni essere umano. Fin troppo educate e ragionevoli, così queste bambine fanno di tutto per compiacere i genitori. Dipendono talmente dal loro desiderio da non permettersi di sperimentare il rifiuto oppositivo, il cosiddetto “NO” strutturante. E proprio il loro eccessivo bisogno d'amore e di consenso rende queste bimbe anche prede facili dei molestatori sessuali. I traumi che ne derivano innescano sentimenti di vergogna e di colpa che esse cercano di soffocare sotto montagne di cibo. La coperta avvolgente di grasso ha in questi casi anche una funzione difensiva, isolante che può proteggerle dai desideri maschili. La mancanza di autenticità, di contatto con i propri sentimenti, i propri bisogni, porta non solo a non riconoscere lo stimolo di fame-sazietà (fattore purtroppo molto comune tra gli obesi) ma inoltre ad assumere delle decisioni copionali di compiacimento, rabbia, rivalsa, aggressività, autolesionismo, sentimenti che molto spesso si ignora o si respinge. Ma così soffocate queste pulsioni si ripresentano sotto forma di idea fissa di assunzione di cibo o del suo drastico rifiuto, come avviene nei casi di anoressia. Da qui l'incapacità di potersi alimentare in modo razionale.

Vuol dire che i comportamenti di questi individui non sono razionali?

Per quanto riguarda il cibo sicuramente la loro razionalità è fortemente contaminata da spinte emotive. Spiego meglio il concetto con un linguaggio “analitico transazionale”. Ogni persona presenta abitualmente tre diverse modalità di comportamento: una è appropriata ad una persona che ragiona e agisce prevedendo e valutando le conseguenze dei suoi atti, e questa viene definita "Stato dell'Io Adulto”; un'altra appare molto simile all'esprimersi e agire di un bambino (Stato dell'Io Bambino); una terza modalità rivela aspetti, atteggiamenti e modelli di comportamento simili a quelli della figura genitoriale (Stato dell'Io Genitore). Di solito noi ci alimentiamo ascoltando i bisogni, i gusti e i desideri suggeriti dal nostro Stato dell'Io Bambino libero, ma sempre con la supervisione vigile dello Stato dell'Io Adulto, facendo ben attenzione che la quantità  e qualità di cibo ingerito non danneggi il nostro peso e la nostra salute. Per la persona affetta da patologie nutrizionali invece l'alimentazione riattiva antichi sentimenti per cui lo Stato dell'Io Bambino, a seconda dei casi arrabbiato, triste, voglioso, ribelle, o sfidante, contamina ogni supervisione logica e razionale. E nei periodi di drastiche diete cui il soggetto si sottopone, osserviamo che agisce pressato dal "dover dimagrire", spinta proveniente da un esigente Io Genitore appartenente alla persona stessa o ad altre esterne, costrizione che immancabilmente attiva un Bambino adattato che sta ubbidendo. In questi periodi cioè questi soggetti appaiono molto razionali e li vediamo attenti alle qualità e quantità opportune di cibo. Ma il loro Stato dell'Io Adulto non è mai avulso dalle pressioni del loro potentissimo Stato dell'Io Bambino che, fedele alle modalità infantili, per brevi periodi subisce ma presto si ribellerà per abbuffarsi di nuovo.

Cosa si intende per bulimia?

Si parla di bulimia quando esiste uno smodato bisogno di mangiare patologico, condizionato psichicamente. A differenza dell'obeso però il bulimico, subito dopo aver mangiato tanto e di tutto, vomita quanto ha ingerito ed è spesso in grado di conservare più o meno inalterato il proprio peso. Fenomeno molto più diffuso tra la popolazione femminile le bulimiche, come in genere tutte le persone con problemi alimentari, cercano in modo esagerato di accreditarsi un'immagine di "brava moglie - madre - dipendente - figlia", in una costante e ostinata ricerca di perfezione. Questo in contrasto con i loro sentimenti tendenzialmente trasgressivi e con il giudizio di sé alquanto negativo. L'incredibile voracità con la quale vengono portate a termine le solitarie orge alimentari, la velocità con la quale si rimpinzano, l'incapacità di smettere, il senso di totale impotenza davanti al proprio comportamento, la sensazione di essere posseduti da una parte di sé che non sono capaci di controllare,... e poi il terrore della bilancia, l'uso dei diuretici, il vomito autoindotto, i sentimenti di vergogna e di colpa, questo terribile segreto inconfessabile... La fame e il vomito diventano così le ossessioni segrete intorno a cui organizzano la propria esistenza con conseguenti cadute di autostima che rinforzano l'automatismo.

E l’anoressia?

A differenza delle obese che hanno vergogna di sé, le anoressiche tendono invece all'esibizionismo della propria intelligenza e determinazione. Digiunando provano delle sensazioni di onnipotenza, dimostrando a loro modo l'indipendenza da tutto e da tutti. In comune con gli obesi ed i bulimici, hanno in realtà un Io molto fragile giacché perennemente denigrato dal loro Io idealizzato onnipotente e perfetto. Spesso rifiutano ostinatamente ogni forma di intervento terapeutico anche purtroppo nei casi estremi in cui la loro vita è in serio pericolo per l'eccessivo calo di peso.

Perché alcune persone si “abbuffano” specialmente di notte?

L'abbuffata notturna può essere interpretata come un mezzo per colmare "buchi neri" causati da irrequietezza, rapporti sociali difficili, legami affettivi conflittuali, frustrazioni professionali, timore dell'abbandono, di affrontare responsabilità. Accade durante il sonno notturno, in uno stato di semi-ipnosi, perché dormendo si allentano le difese psicologiche che di solito essi erigono per sostenere il loro gravoso ruolo quotidiano ed emergono le paure inconsce. Così i problemi, le ansie, i dubbi che durante la giornata riescono faticosamente a controllare, di notte assumono dimensioni insostenibili, mentre i bisogni di affetto, di vicinanza e di intimità si fanno più pressanti. Da qui l'importanza di acquisire consapevolezza del proprio mondo interno, quindi imparare a contenere le proprie angosce con modalità di gran lunga più sane delle inutili abbuffate.

Ci sono intere famiglie di obesi. Che ruolo ha l’ereditarietà?

Molte ricerche evidenziano l'elevata incidenza dell'obesità nei figli di genitori in sovvrappeso ma questo non prova il fattore genetico giacché giocano come complicanti gli effetti dell'ambiente, le abitudini alimentari della famiglia, le influenze psichiche. Anche l'ipotesi di un difetto metabolico o ormonale è in molti casi poco attendibile giacché si è notato che spesso questo scompare in proporzione alla riduzione del peso. In ogni caso è incerta la distinzione tra i fattori che sono causa dell'obesità da quelli che ne sono la conseguenza.

Perché i ragazzi "cocco di mamma" sono spesso anche ciccioni?

Alcune donne, insoddisfatte del loro rapporto di coppia, si aspettano che il loro figlio maschio colmi magicamente le lacune riscontrate nel partner, apertamente disprezzato e additato come esempio da non seguire. In un clima emotivo del genere, il bambino tende a soffocare i suoi personali bisogni, le naturali predisposizioni per forgiarsi in modo da assecondare le aspettative della madre. L'ingestione compulsiva di cibo può assumere in questi casi diversi significati: "mi tappo la bocca per evitare di esprimere quello che sento, che voglio, che desidero...", "mangio tanto così divento presto grande e posso soddisfare la mia mamma...", "sono molto arrabbiato con tutti...", "ho sensi di colpa perché voglio prendere il posto di papà"... e via dicendo. In questi ragazzi cioè è fortemente dominante lo Stato dell'Io Bambino che influenza ogni loro agire. E il sovrappeso è solo la punta di un iceberg che nasconde nel suo interno incolmabili conflitti.

Com’è possibile risolvere questi problemi in modo definitivo?

E' consigliabile un approccio multifattoriale con psicoterapia personale o di gruppo e approccio corporeo. E' denominatore comune di queste persone una carenza di autostima dovuta ad una struttura di personalità eternamente in conflitto tra quello che desiderano e quello che fanno. Molto legate al "dover essere" "dover fare", si sono forgiate per soddisfare le aspettative di un genitore incontentabile e con il tempo il soggetto stesso è diventato l'esigentissima persona mai appagata, scontenta di sé, impotente... che si concede parentesi di rivalsa danneggiandosi. La soluzione quindi non sta nell'ossessivo conteggio delle calorie, nella continua ricerca della dieta più efficace... Anche se indubbiamente indispensabile questa modalità purtroppo rinforza l'idea dominante del cibo, necessariamente scelto, dosato, distribuito secondo rigide prescrizioni. Sarebbe molto utile contemporaneamente intraprendere un lavoro di decontaminazione dello Stato dell'Io Adulto che può essere considerato come un muscolo che si insedia e cresce nella misura in cui è sollecitato; ed è proprio quello che accade nell'ambito del setting terapeutico. Bisogna apprendere il come proteggersi, accettarsi, approvarsi, sostenersi, amarsi; ed inoltre imparare ad ascoltare i propri sentimenti, i propri bisogni, acquisire contatto, intimità con il proprio Sé. E' anche essenziale decidere di ridurre le proprie aspettative nei riguardi di se stessi e degli altri; considerare gli errori commessi come esperienze necessarie per crescere, evitando in ogni modo i compiacimenti, i compatimenti, le autodenigrazioni. Potrebbe essere più facile conseguire questi obiettivi imparando a guardare il nostro Io idealizzato, le nostre pretese di perfezione, ogni avvenimento, il mondo che ci circonda... da un'ottica umoristica in modo da eliminare attraverso questa lente le nostre paure, le affettazioni, i ruoli, le identità di facciata, le maschere che indossiamo. Potremmo così osservare noi, gli altri, la realtà con maggiore magnanimità, tolleranza, con un senso di calore e simpatia per tutti gli aspetti della vita, staccandoci dalle antiche illusioni, dalle attese magiche. Solo quando si è acquisita la percezione di Sé e del proprio corpo, solo dopo aver appreso un colloquio interno costruttivo, si potrà passare ad affrontare il problema alimentare. Quindi imparare a "pensare magro" non solo nella scelta quotidiana del cibo in relazione al proprio schema corporeo, ad una più corretta educazione alimentare, ma innanzitutto a qualcosa di più profondo legato ad un rinnovato stile di vita, ad un nuovo copione "vincente" alla capacità di amministrare al meglio i propri comportamenti.