Roma.
  Mi avvio in macchina. Vado da Diana Gisell
  Casas. Sono eccitata dall’idea di conoscerla. Vorrei proprio innamorarmi
  della sua storia. Parcheggio. Prendo borsa, registratore e quaderno con alcune
  domande già annotate. Citofono. La sua voce è calma e riduce di colpo la mia
  tensione. Ascensore. Controllo il mio aspetto. Il look è consueto e il
  portamento disinvolto. Penso che potrei piacerle. 
  Apre. E’ bellissima, una stangona di uno e ottanta e un corpo da
  pin-up. Si china di venti centimetri per baciarmi. I capelli biondi e
  lunghissimi mi accarezzano le guance e mi arriva l'aroma del suo profumo.
  Somiglia a Mira Sorvino. Mi porta in salotto dove non posso fare a meno di
  notare la sua collezione di porcellane. Gusto raffinato. Rompe il ghiaccio:
  
Allora Lily, sei argentina,
  vero? Conosco un paio di tuoi connazionali che…” 
  “Momento... non vorrei sentirmi responsabile della
  reputazione di trenta milioni di persone!” Tiro giù una battuta
  liberatoria. 
  
  “Che, scherzi?…” ride. “Adoro gli argentini! Vorrei offrirti
  qualcosa da bere. Ti va un tè alla pesca?” 
  “Si, grazie.” 
  
  Gira sui tacchi e va, felina. La tensione ha lasciato posto alla curiosità.
  Ora che l’ho vista sono sicura. L’intuito è quella parte di cervello che
  si accontenta di poche informazioni e, infatti, erano bastati i preliminari
  per convincermi che era lì, davanti a me, il personaggio che cercavo.  Diana sfoggia una parlantina sciolta, per niente imbarazzata. Mi dà l’impressione
  che abbia idee chiare. E’ talmente sicura di sé che parla quasi sottovoce,
  con calma e naturalezza, senza atteggiarsi. Col microfono vicino al suo viso,
  sono seduta in una posizione piuttosto scomoda. Non fa niente. L’atmosfera
  è insolita e mi conquista al punto che mi sembra di dover alterarla se mi
  sposto. 
  “Perché vuoi raccontare la tua storia, Diana?” 
  “Voglio farla conoscere a quanta più gente possibile, dare il mio
  contributo perché le cose possano migliorare. Penso ai genitori di bambini
  piccoli, perché riconoscano che i figli sono assolutamente al centro d’ogni
  attenzione e rispetto. E poi, perché devono pure far conoscere ai propri
  figli quel mondo semi-sommerso che, piaccia o no, deve emergere completamente.” 
  “Quale mondo?” 
  “Il mondo dei trans. Vorrei provare ad aiutare le persone come me, magari
  meno fortunate, a conquistare la comprensione e il rispetto della gente.
  Abbiamo duemila anni d’ignoranza da recuperare. Ancora molta gente associa l’omosessualità
  e la transessualità con la perversione, invece di considerarle come
  condizioni di vita. Nessuno dovrebbe giudicare ciò che non conosce. Vorrei
  che le persone come me non fossero additate come ‘disoneste’, incapaci di
  raggiungere obiettivi nobili, abbandonate anche da Dio, perché questo non è
  vero.” 
  “Ti senti protetta almeno dalle leggi?” 
  “La costituzione dei paesi occidentali oggi tutela chi cambia sesso;
  nonostante ciò, c’è ancora molto da fare, ma per fortuna il numero di
  persone che ci condannano sembra diminuire.” 
  “Chi sono i trans?” 
  “Sono persone che hanno scoperto di appartenere fisicamente ad un sesso e
  mentalmente ad un altro, e che in seguito hanno avuto il coraggio di
  ammetterlo, anche se questo significa molto spesso essere socialmente
  rifiutati.” 
  “Che ruolo giocano i familiari in questo processo
  di metamorfosi?” 
  “Molto importante. Mia madre voleva una bimba e probabilmente ho fatto di
  tutto per accontentarla,” ride con amabile malizia. “Conosco, però,
  persone che hanno subito la mia stessa ‘programmazione’ familiare e vivono
  in armonia con il loro sesso d’origine. In verità io non so quali sono le
  vere ragioni per cui si realizza questa condizione. Forse una predisposizione
  ereditaria c’è già, o dell’altro che ancora non sappiamo.”     
  “Insomma, si ‘nascerebbe’ trans.” 
  “Forse sì. E si può ‘nascere’ trans nella famiglia più normale del
  mondo, di qualsiasi paese, razza o religione. Magari in famiglie piene di
  pregiudizi e moralismi, come in fondo è anche la mia. In un certo modo è
  come se si realizzasse il contrario di ciò che avrebbero voluto.” 
  “Condannati dai loro stessi pregiudizi.” 
  “Forse si tratta di una lezione da apprendere. La famiglia con un figlio
  diverso, e in ogni modo amato, dovrà imparare a maturare comprensione,
  rispetto e indulgenza verso quelli che prima emarginava.” 
  “Com’è un trans da bambino?” 
  “L’aspetto di un trans bambino dà luogo a parecchi equivoci. I miei
  parenti e gli amici di famiglia si complimentavano con mia madre per la mia
  bellezza; mi trattavano come una bambina e rafforzavano dentro di me una certa
  confusione.” 
  “Prima la confusione, poi le conferme…” 
  “Nasci già molto femminile e appena puoi cominci a giocare con le bambole.
  I bambini ti ricordano con innocenza che assomigli ad una bimba e ti trattano
  come tale. Sono incapaci di darti un pugno in faccia o insultarti. Credo che
  la più forte conferma del proprio sesso i trans la ricevono nell’infanzia,
  perché i bimbi si relazionano senza barriere né preconcetti. In seguito c’è
  chi ti fa notare che sei un maschio e allora non ci capisci più niente,
  finché arriva il momento in cui cominci a chiederti cosa sei veramente. Per
  quello che riesco a ricordare, fino a cinque anni io ero convinto di essere
  una femmina.” 
  “E come sei cresciuta?” 
  “Chi vede un trans a vent’anni forse pensa che non abbia mai avuto un’infanzia,
  che sia apparso al mondo da un giorno all’altro, come un extraterrestre.
  Nonostante tutto, io ho vissuto una gioventù normale, con le mie cotte e con
  i problemi della vita da affrontare, mi turbava, però, il ricordo di essere
  stato un bambino diverso. Il pensiero che mi assillava di più, e che mi è
  venuto in aiuto in quella fase della mia vita, era quello di assecondare i
  forti messaggi della mente: mi preoccupavo di forgiare una immagine femminile
  sempre più bella.”  
  “Chi sono gli uomini che vi frequentano?” 
  “Persone normalissime, con gli stessi pregi e difetti di qualsiasi altro, di
  ogni ceto sociale, dall’impiegato al professionista, dall’operaio al
  magistrato, dallo studente al padre di famiglia.” 
  “Con mancanze affettive?” 
  “Non saprei. Ho conosciuto mariti soddisfatti del loro matrimonio e nonni
  felici. Cercano solo di far combaciare le loro fantasie con i doveri sociali.
  Magari si concedono il fascino del proibito e si divertono con certi
  comportamenti ‘bizzarri’. Ci sono uomini che si immedesimano in noi a tal
  punto che si permettono di liberare il loro istinto femminile, e provano a
  capirlo. Altri invece vogliono dimostrarsi ‘dominatori’ a tutti i costi e
  spingono al massimo il loro istinto maschile.” 
  “Sembra che molti preferiscano l’amore trans.” 
  “Non tutti gli uomini vorrebbero stare con una trans, ma quando qualcuno
  stabilisce un certo rapporto con una di noi, non sta molto a riflettere se si
  trova in presenza di un altro uomo che ha il seno o con una donna che ancora
  ha il pene; riscatta semplicemente la nostra femminilità. A volte si
  dimostrano molto comprensivi e disponibili e ci danno informazioni e
  spiegazioni sulla società, ci intrattengono sulla cultura, l’economia, la
  storia, la politica, la geografia. A modo loro provano a istruirci.” 
  
  “Come se volessero partecipare alla ‘formazione’
  di una nuova creatura, uno strano senso di ricerca di paternità…” 
  
  “Esatto. Eppoi, quando un uomo s’innamora veramente di una trans, si
  sviluppa un sentimento molto grande e che deve superare il maggiore degli
  ostacoli: i pregiudizi  sociali. Non si tratta dell’amore comune fra un
  ragazzo e una ragazza incoraggiato da tutti.” 
  “Qual è la tua opinione sui gay?” 
  “Mi piacciono molto. Noi trans siamo a volte viziate, specie quando per
  eccessiva solidarietà alcuni ci offrono troppo. Quindi abbiamo la tendenza ad
  essere vanitose, presuntuose e narcisiste, non riusciamo a contenere un
  atteggiamento di superiorità. Come se l’aver avuto il coraggio di superare
  le barriere del sesso, ci autorizzasse a sentirci onnipotenti.” 
  “Che effetto ha questo sugli uomini?” 
  “Molti apprezzano e rispettano questo coraggio fino ad assumere un
  atteggiamento tutelativo nei nostri confronti. E ognuno ci protegge con i
  propri mezzi: il politico con le sue conoscenze, il magistrato col suo potere,
  lo sportivo con la sua prestanza fisica, l’artista con la sua creatività.
  Ci offrono spontaneamente quelle cose che molte donne magari vorrebbero, ma
  non sempre ricevono. E’ un vero paradosso.”  
  “Quale parte della società di solito ha più
  resistenze ad accettarvi?” 
  “Gli uomini mi sembrano meno complicati. Le donne hanno invece più
  conflitti, entrano facilmente in competizione con noi e fanno più fatica a
  riconoscere che i tempi sono cambiati. Forse perché molte inseguono ancora il
  sogno del principe azzurro, o magari perché sono state educate più
  rigorosamente. Il maschio è allevato senza tanti premi né divieti, cresce
  più libero, meno competitivo e certamente con problemi minori. Tutto gli è
  permesso, perfino i giochi ambigui con  amichetti e compagni di scuola.” 
  “Dunque, vi guardate dalle donne.” 
  “Solo un certo tipo di donne manifesta rifiuto, inimicizia e rivalità:
  quelle insicure del proprio potere di seduzione. Ricevo invece affetto e
  complicità da quelle più consapevoli del proprio fascino, da quelle che sono
  innamorate e hanno fiducia nel proprio compagno, e pure da quelle che hanno
  superato una certa età. I gay subiscono minori discriminazioni, proprio
  perché non esercitano un’attrazione così forte sugli uomini, anche se ho
  avuto modo di vedere che molti maschi sono attratti da altri maschi senza
  essere per forza gay.” 
  “E i travestiti?” 
  “Nemmeno loro sono molto discriminati, perché mentre di notte si
  trasformano in donna e assumono atteggiamenti femminili, di giorno possono
  rimanere uomini a tutti gli effetti, con atteggiamenti non effeminati e
  pienamente inseriti nei loro ruoli professionali e sociali. Entrambi, gay e
  travestiti, conservano il sesso originale. Una trans invece è sempre
  femminile. Se cammina di giorno per strada tutti gli uomini si girano a
  guardarla. E lì che le donne si sentono minacciate.” 
  “Come reagisci al ‘rifiuto’?” 
  “Di solito non mi curo di ciò che gli altri pensano. Sono io e basta,
  abituata al fatto che di noi si dica tutto e il contrario di tutto. In fondo
  capisco che il mondo è uno scenario grottesco e falso. Per esempio esci a
  fare il giro del quartiere a piedi e incontri i tuoi vicini maschi; quelli che
  hanno ‘la coscienza a posto’ ti salutano normalmente, ma quando incontri
  uno con cui hai avuto un rapporto intimo, è lì che comincia la recita. Puoi
  camminare tranquilla, nessuno si permetterà mai di segnalarti né di
  criticarti, si sentono coinvolti, a volte complici.” 
  “Nulla di più rassicurante dunque del proprio
  quartiere.” 
  “Sembra strano, ma è vero. Può capitare che, eccezionalmente e per
  mascherarsi, qualcuno possa  esprimere pubblicamente un commento negativo
  su di te, ma non puoi prenderlo sul serio; dopo un po’, nel retroscena, te
  lo ritroverai a farti la corte e magari a letto. Allora capisci che la vita è
  una fiction dove la gente mostra solo ciò che vuole che gli altri vedano, un
  gran palcoscenico dove le donne spesso non riescono a vedere cosa succede
  dietro la scena.” 
  “Puoi essere più precisa?” 
  “Ho la sensazione che gli uomini modificano i ruoli più velocemente di
  quanto non facciano le donne. Facilmente salgono e scendono dal ‘palco’,
  mentre le donne rimangono più ferme, legate alla scena e al ruolo che
  interpretano.” 
  “A che età hai saputo che la tua storia poteva
  avere una svolta grazie alla chirurgia?” 
  “Ero molto piccolo e l’avevo letto in un giornale. Mi rendeva felice l’idea
  che un giorno non molto lontano sarei potuto diventare una ragazza. Anche se
  in apparenza sei un bambino, i grandi vedono la tua femminilità e proprio
  perché ti sanno maschio non si fanno remore a toccarti e molestarti. Ho avuto
  l’impressione che la gente si fa meno scrupoli quando si esercita violenza
  su quelli come me piuttosto che su una bambina.” 
  “Quando ti sei resa conto di essere al centro dell’attenzione?” 
  “A scuola. I maschi mi toccavano le mani, i capelli, il viso, mi dicevano
  che ero molto carino e che sembravo una femminuccia. Io mi chiedevo: perché a
  me? Perché non si comportano così con mio fratello Jairo, o con gli altri
  bambini? Perché non lo fanno tra di loro? Se cambiavo scuola o quartiere
  tutto ricominciava daccapo… A otto anni avevo già subito violenze.” 
  “Vuoi dire abusi sessuali?” 
  “Si. Io me ne stavo zitto per vergogna e per paura, ma in realtà non
  riuscivo veramente a capire cosa stava accadendo. Ero combattuto. Mi piacevano
  però i preliminari, i baci, le carezze, le coccole. E’ così che ti
  adescano. Prima diventano i tuoi amici e poi ti fanno del male.” 
  “Ti consegnavi a loro rassegnata o riuscivi qualche
  volta a difenderti?”
   “Quando hai otto anni un uomo è capace di violentarti come e quanto vuole.
  Non potevo oppormi perché ero solo e indifeso e loro non mi facevano neppure
  urlare…” 
  “Ti è capitato più volte?” 
  “Si, anche con diverse persone insieme… mi minacciavano di morte. Sai, un
  bimbo crede a tutto ciò che gli dice un adulto.” 
  “Dove succedeva questo?” 
  “A volte mi portavano nelle loro case.” 
  “Con la forza?” 
  “All’inizio con la promessa di regali e giochi. Poi, dopo aver subito le
  prime violenze non potevo più rifiutarmi, ero minacciato…” 
  “Non sono mai stati scoperti e denunciati?” 
  “Mai. Fra loro c’era pure un amico di famiglia. Ho tentato di farglielo
  capire a mio fratello Jaime, ma lui mi disse che se mi succedeva qualcosa di
  brutto era solo per colpa del mio atteggiamento troppo femminile, girando a
  gambe scoperte, con i pantaloncini che ‘mostravano’ le rotondità del
  sedere… Capisci? A nove anni ero già colpevole della mia condizione.” 
  “Come sarebbero andate le cose se tuo fratello ti
  avesse creduta?” 
  “Quel fariseo del suo amico sarebbe stato allontanato da casa nostra e io
  non sarei stata vittima di quella sporca compagnia di pedofili che
  approfittava di me.” 
  “Ne hai parlato con tua madre?” 
  “No. Mi sentivo dalla parte del torto, il cattivo della situazione, un
  verme, la creatura più malvagia del mondo. Pensa, ci fu un periodo in cui il
  fattaccio si ripeteva praticamente ogni settimana, e ogni volta mi ritrovavo
  nel mio letto pieno di dolori e brividi di febbre…” 
  “Esprimevi con il corpo ciò che non riuscivi a
  dire a parole.” 
  “Mia madre si preoccupava e faceva venire il medico che, puntualmente, non
  trovava spiegazioni ai miei malesseri. Poi mi calmavo, passava la febbre,
  scomparivano i tremori… ma non parlavo.” 
  “Cos’hai imparato da quella tragica esperienza?” 
  “Ho imparato che nella vita si recita e che tutto è finzione. L’amico di
  mio fratello aveva la faccia pulita ed era benvoluto da tutti. Chi poteva
  immaginare che dietro il sipario si trasformava in un mostro che abusava di me…?” 
  “Che forma prendono adesso i tuoi ricordi?” 
  “Un incubo che si ripete. Non riesco a conservare altro. Per un certo tempo
  ero terrorizzato a tal punto che se un ragazzo si toglieva la maglietta in mia
  presenza pensavo che mi volesse usare violenza e scappavo.” 
  “Cosa è cambiato dopo?” 
  “Divenuto più grande cominciai a ricevere soldi e regali in cambio del mio
  silenzio. Accettandoli mi prendevo una specie di rivincita, un potere che
  cominciavo a gestire io.” 
  
  “Vorresti cancellare completamente quel periodo
  della tua vita o l’accetti come un’esperienza necessaria per diventare
  quello che sei oggi?” 
  
  “Anche se lo volessi, è impossibile dimenticare. Un bimbo osserva e
  immagazzina tutto nella sua mente: parole, espressioni, voci, piccoli
  dettagli. Rivedo come se fosse ieri i momenti in cui fui adescato,
  trasportato, violato, e poi lasciato solo. Ricordo perfino il vestito che
  avevo addosso.” 
  “Quando hai preso la decisione di diventare donna?” 
  “Sin da piccolo.” 
  “E’ stata una decisione drammatica quella di
  operarti?”  
  “Per niente. Ho asportato una parte del corpo che non aveva significato.
  Anzi, creava più problemi che altro. Una specie di brufolo ” 
  “A che età hai cambiato sesso?” 
  “A diciotto anni. Ho aspettato l’arrivo della maggiore età, per non dover
  chiedere l’autorizzazione ai miei genitori.” 
  “A casa tua lo sapevano?” 
  “No. L’ho tenuto nascosto per un po’…”  
  “Vuoi dire che dopo operata continuavi ad indossare
  abiti maschili?” 
  “Si, ma non serviva a niente. Se entravo in un negozio i commessi mi
  domandavano ‘la signorina desidera?’. Ricordo che a quattordici anni ero
  così femminile che alla festa del quartiere addirittura mi hanno proposto fra
  le ‘Miss’ da eleggere.” “Tuo padre è stato assente nella tua vita, ma tua
  madre che diceva?” 
  “Per molti anni forse negava a se stessa la mia diversità; poi, però, non
  ha potuto fare a meno di accettarla, specialmente dopo la mia candidatura a
  ‘Miss’. Pensa che allora convinse il medico di famiglia a sottopormi a una
  cura con ormoni maschili.” 
  “Hai mai fatto l’amore con una donna?” 
  “Si, sono stato con alcune ragazze. Molte mi trovavano attraente e mi
  facevano la corte. Nonostante le apparenze femminili, avevo una buona erezione
  e mi lasciavo andare quando riuscivano a sedurmi con carezze e dolcezze. In
  quel momento prevaleva la mia ‘energia maschile’.” 
  “Sei ancora in lotta con le tue ‘energie’?” 
  “Qualche volta capita che le sento confuse e finisco per essere molto
  provata. Cerco come posso di cogliere il meglio di entrambe in maniera da
  valorizzare la mia personalità. In ogni modo preferisco sentirmi donna e
  provare sensazioni femminili.” 
  “E la tua ‘prima volta’ da donna?” 
  “Quel ricordo è ancora vivo: mi sentivo veramente unita all’uomo che mi
  amava, potevo osservare le espressioni gioiose del suo viso quando mi
  guardava, quando mi baciava in bocca. Vedere in faccia l’amore, mi capisci?.” 
  “Provi sempre molto piacere?” 
  “Avere una vagina è una sensazione bellissima. Il piacere dell’orgasmo è
  infinito e liberatorio, ma ogni momento dell’amore mi dà una sensazione di
  totale appagamento.” 
  “Cosa ti piace fare di più nella vita?” 
  “Dipingere.” 
  “Hai un soggetto preferito?” 
  “Sono affascinata dalle sirene.”  
  “La donna senza vagina e ‘senza sesso’…” 
  “E’ vero… Mi piace il giallo, il colore della luce. Da bambino dipingevo
  di giallo i volti delle mie sirene. Rappresentavano le persone che amavo,
  solari e positive.” 
  “E quelle che non amavi?” 
  “Le dipingevo di viola, come se fossero colpite da un male incurabile.” 
  “Per esempio?” 
  “Jaime, mio fratello più grande. Quando doveva proteggermi ha fatto finta
  di niente, non mi ha creduto e, come se non bastasse, mi ha pure
  colpevolizzato.” 
  “Pensi che potresti perdonarlo?” 
  “Dovrei prima tornare indietro nel tempo e rivederlo capace di difendere il
  debole contro ogni immoralità e omertà. Adesso vorrebbe riavvicinarsi, che
  lo vada a trovare a casa ogni volta che torno a Cali. E’ ovvio che lui
  stesso non è riuscito a perdonarsi. Posso sembrare vendicativa, ma provo un
  sottile piacere nell’immaginarlo consapevole di aver sbagliato di grosso.
  Con sua moglie e i suoi figli ho mantenuto un buon rapporto, qualche volta
  sono uscita con loro, siamo andati al cinema, ai musei… , ma con lui ho
  chiuso.” 
  “Ti ci vedi nel ruolo di madre?” 
  “Si, certo.” 
  “Che tipo di madre saresti?” 
  “Essendo stata vittima dell’ignoranza e del silenzio, sarei una madre che
  parla, che informa, che prepara il proprio figlio ad affrontare il mondo che
  è costretto a vivere. Non avrei segreti per lui. I bambini capiscono e
  crescono bene con la pazienza e con l’amore.”  “Non dovrebbero anche scoprire il mondo
  attraverso gli errori?” 
  “Sì, ma non possono farlo da soli senza una guida. I genitori servono anche
  a questo, ad accompagnare armoniosamente le loro scoperte in quella fase che
  segnerà il resto della loro vita. L’educazione sessuale merita una grande
  attenzione. Purtroppo ci troviamo in una società in cui per prima cosa
  bisognerebbe educare i genitori. Conosci qualcuno che si occupa dell’educazione
  dei genitori?” 
  “Hai mai pensato di adottare un bambino?” 
  “Mi piacerebbe molto, ma confesso che preferirei in affido una femmina.
  Forse perché prevale ancora la paura che si ripeta ciò che è accaduto a me,
  anche se la transessualità non è ereditaria né contagiosa.” 
  “Credi in Dio?” 
  “Sì che ci credo. Avverto la Sua presenza e la Sua compagnia, il Suo amore
  in tutto ciò che mi ha dato. Mi sento protetta da Lui. Sicuramente non mi ha
  condannato per le mie scelte.” 
  “Allora anche i trans vanno in paradiso?” 
  “Senz’altro. Conosco molti trans solidali con la propria famiglia e con il
  prossimo in generale. Brave persone che fanno volontariato negli ospedali per
  dare un conforto agli ammalati, per ascoltare col cuore chi ha problemi di
  solitudine e ha bisogno di un’amicizia disinteressata.” 
  “Il tuo Dio è cattolico?” 
  “Ogni anno, per tradizione, a Natale faccio l’albero e il presepio, per
  commemorare la nascita di Gesù, ma credo in un Dio universale, qualunque sia
  il suo nome, Maometto, Buddha o Cristo, che si prende cura dei più deboli,
  degli emarginati, dei sofferenti, dei malati. Forse i veri santi sono fra
  quelli che hanno sviluppato comprensione verso i problemi della gente e hanno
  imparato a combattere la discriminazione in favore della libertà e contro il
  razzismo e le guerre. E’ lì che vedo Dio. Non riesco, invece, a vedere l’amore
  in chi si dice religioso ma giudica il prossimo con superficialità e
  approssimazione. Le religioni possono portare alla schiavitù dell’anima e
  alle ‘guerre sante’. In questo caso è meglio che non esistano.” 
  “Di cosa ringrazi Dio?” 
  “Di quello che sono. La vita mi ha premiato con tre grandi successi: il
  primo è quello di aver fatto tutto ciò che ho voluto; il secondo è quello
  di aver raggiunto una posizione economica agiata; il terzo, e più importante,
  è quello di avere trovato l’amore, immenso, unico e totale.” 
  “Cosa rende così speciale il tuo compagno?” 
  “E’ trasparente come un bambino e coltiva buoni sentimenti. Trovare una
  persona con queste caratteristiche non è per niente facile.” 
  “Hai qualche rammarico?” 
  “Più che un rammarico, ho un desiderio: mi piacerebbe che le donne
  smettessero di vedermi come una minaccia. Le apprezzo molto e mi piace creare
  con loro forti legami di amicizia. Anch’io sono una donna a tutti gli
  effetti.” 
  “I tuoi documenti possono dimostrarlo?” 
  “Sì. La legge mi tutela. Non solo, prima di rilasciarmi l’autorizzazione
  a cambiare sesso, i medici che mi operarono mi sottoposero a rigorosi
  accertamenti psicologici…”
   
  La legge citata da Diana è la 164, del 14/4/82, sul cambiamento di
  sesso. 
  Suona il campanello. Lei si avvia ondeggiante verso la porta. Entra un uomo
  alto ed elegante che la stringe a sé e la bacia sulla guancia con tenerezza.
  Poi si avvicina a me, mi regala uno sguardo azzurro e limpido e una stretta di
  mano calorosa: 
  “Lei è Lily? Piacere di conoscerla, sono Marco, il marito di Diana.”
  
     
       
 Diana
Casas con la sua biografa
        
 Liliana
 Gimenez
        
        
   
			  
  |